LA RABBIA IN ADOLESCENZA

LA RABBIA IN ADOLESCENZA

Chi non ha provato rabbia in adolescenza?

La rabbia è un’emozione primaria. È innata, cioè ha una matrice biologica. Fa parte di quelle emozioni che servivano ad aumentare le possibilità di sopravvivenza. Generalmente è etichettata come un’emozione negativa, ma non esistono emozioni positive o negative. Certo, provare alcune emozioni è più piacevole che provarne altre, ma le emozioni semplicemente esistono ed hanno una funzione nella nostra vita.

 

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La rabbia in adolescenza

 

Come sono fatte le emozioni

Le emozioni sono composte da tre fattori:

  • una componente fisiologica: noi reagiamo col corpo alle informazioni dell’ambiente prima di comprenderne il significato;
  • una componente cognitiva: la valutazione della situazione e delle conseguenze che può avere su di noi;
  • una manifestazione comportamentale: la tendenza ad agire in un certo modo.

La rabbia è l’emozione, l’aggressività è la manifestazione comportamentale.

L’emozione non è mai sbagliata, la manifestazione comportamentale, invece, si può cambiare. Siamo portati a pensare che le emozioni controllino il nostro comportamento, ma non è così. Il comportamento è una libera scelta.

 

La rabbia in adolescenza: perché viene?

La rabbia serve a difendersi, ad attaccare, a separarsi. Ci sono due periodi nella vita dei nostri figli in cui questi provano più rabbia e, di conseguenza, i rapporti con i genitori sono più difficili: verso i due anni, quando stanno uscendo dalla primissima infanzia e durante l’adolescenza. Sono i periodi in cui il bambino e poi il ragazzo deve separarsi dai genitori e crearsi un sé indipendente.

In natura quando la prole è pronta a sopravvivere da sola, viene allontanata, mentre nella nostra società questo non succede. I genitori tendono a “tenersi stretti” i figli; quindi, devono essere questi ultimi a spingere per allontanarsi. Dopo la dipendenza totale della prima infanzia, è difficile separarsi. Al bambino è necessaria la rabbia in adolescenza per staccarsi dai genitori.

È la rabbia che permette di creare un senso di identità proprio rispetto al caregiver (colui che si prende cura del bambino). Lo stesso accade durante l’adolescenza, quando i ragazzi devono impegnarsi per diventare indipendenti dai genitori sotto tutti i punti di vista.

I genitori e gli educatori in generale tendono, da parte loro, ad identificare ed inibire ogni manifestazione di rabbia in adolescenza. Esistono, inoltre, differenze di genere nella nostra cultura: al maschio viene insegnato ad inibire la tristezza e la paura e ad esternalizzare la rabbia, alle femmine il contrario.

Conseguenze psicologiche: una femmina proverà più senso di colpa ad esternalizzare la rabbia di un maschio.

 

Come si gestisce la rabbia

Negli ultimi anni passa il messaggio che le emozioni negative siano patologiche, per cui la tristezza diventa depressione, la rabbia disturbo oppositivo-provocatorio, ecc. Ma la rabbia, come si diceva prima, non è mai giusta o sbagliata. La risposta non è negare o sopprimere la rabbia, ma imparare a tollerarla, gestirla senza ricorrere a modalità disfunzionali, come tagliarsi, drogarsi, ecc. (autodistruttive), o diventando aggressivi nei confronti di cose e persone.

Non serve inibire l’aggressività, ma ritualizzarla: passare da una modalità “provo ® butto fuori” ad una mentalizzazione di ciò che si prova, con adozione di adeguate strategie di coping per scegliere il momento e la modalità più adeguata di manifestazione.

Cosa devono imparare i ragazzi: stare all’interno dell’emozione, dargli un nome e comunicarla alla persona che l’ha scatenata. Questo, che può sembrare ovvio, spesso non viene fatto. Nei corsi di affettività che si tengono nelle scuole, spesso gli psicologi si accorgono che i bambini non sono in grado di riconoscere le espressioni delle diverse emozioni, di dare loro un nome, ipotizzare il motivo che possa averle scatenate o la manifestazione comportamentale che seguirà.

 

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Come gestire la rabbia

Il ruolo degli adulti

Insegnare ai ragazzi a gestire le emozioni significa, naturalmente, dare, per prima cosa, il buon esempio. Quindi il primo lavoro da fare è su noi stessi.

Gli adulti, per primi, dovrebbero imparare ad accettare le emozioni che provano, anche quelle spiacevoli, senza cercare di combatterle. In primo luogo, perché è una battaglia persa, le emozioni soppresse torneranno. In secondo luogo, perché combattere le emozioni porta ad uno spreco di energie che potrebbero essere utilizzate meglio nel cercare di comportarsi nel modo che riteniamo più corretto, senza lasciare che le emozioni decidano per noi.

Infine, negare a noi stessi di provare alcune emozioni significa privarci di una gamma importante delle esperienze umane.

 

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